Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 18/05/2007) 16/10/2007, n. 21619

i: Nel cosiddetto sottosistema civilistico, il nesso di causalità (materiale) – la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale (ove vale il criterio dell’elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla “certezza”) – consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del “più probabile che non”; esso si distingue dall’indagine diretta all’individuazione delle singole conseguenze dannose (finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria) e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell’autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo (colpevolezza). (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato il nesso causale tra il comportamento omissivo del sanitario che aveva ritardato di inviare il paziente presso un centro di medicina iperbarica e l’aggravamento delle lesioni subite dal paziente che probabilmente avrebbe potuto essere evitato). (Rigetta, App. Genova, 27 Aprile 2002)[1];

ii: La causalità civile “ordinaria” si attesta sul versante della probabilità relativa (o “variabile”), caratterizzata dall’accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, secondo modalità semantiche che, specie in sede di perizia medico-legale, possono assumere molteplici forme espressive (“serie ed apprezzabili possibilità”, “ragionevole probabilità”, etc.), senza che questo debba, peraltro, vincolare il giudice ad una formula peritale e senza che egli perda la sua funzione di operare una selezione di scelte giuridicamente opportune in un dato momento storico: la causalità civile, in definitiva, obbedisce alla logica del “più probabile che non”[2];

iii: Il nesso causale rappresenta, in sede civile, la misura della relazione probabilistica concreta, svincolata da ogni riferimento soggettivo, tra comportamento e fatto dannoso; esso consente di individuare i termini dell’astratta riconducibilità delle conseguenze dannose delle proprie azioni in capo all’agente, secondo un principio guida formulato in termini di rispondenza, da parte dell’autore del fatto illecito, delle conseguenze che “normalmente” discendono dal suo atto, a meno che non sia intervenuto un nuovo fatto rispetto al quale egli non ha il dovere o la possibilità di agire (cd. teoria della regolarità causale e del “novus actus interveniens”)[3];

iv: Nell’orbita del sottosistema civilistico della responsabilità medica si colloca, in diversa dimensione rispetto alla causalità civile “ordinaria”, la causalità da perdita di “chance”, attestata sul versante della mera possibilità di conseguire un diverso risultato terapeutico, da intendersi non come mancato raggiungimento di un risultato soltanto possibile, bensì come sacrificio della possibilità di conseguirlo, dovendosi intendere l’aspettativa di guarigione da parte del paziente come “bene”, e cioè come diritto attuale, autonomo e diverso rispetto a quello alla salute[4];

v: Posto che la causalità civile “ordinaria”, che costituisce una dimensione d’analisi del nesso di causa distinta dalla “causalità da perdita di chance”, si attesta sul versante della probabilità relativa (o “variabile”) ed è caratterizzata dall’accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, ed atteso che il giudice, dovendo operare una selezione di scelte giuridicamente opportune in un dato momento storico, non è vincolato ad una formula peritale e non può trasformare il processo civile (e la verifica processuale in ordine all’esistenza del nesso di causa) in una questione di verifica (solo) scientifica demandabile tout court al consulente tecnico, non è allora censurabile la decisione del giudice del merito, il quale, con motivazione sorretta da ampia e congrua motivazione, abbia ritenuto “più probabile che non” l’esistenza del nesso di causa tra il comportamento omissivo del sanitario e le lesioni subite dal danneggiato, nonostante i consulenti tecnici si siano espressi in termini meramente possibilistici senza percentualizzare la eventuale migliore riuscita del trattamento omesso[5].


[1] Mass. Giur. It., 2007; CED Cassazione, 2007

[2] Danno e Resp., 2008

[3] Danno e Resp., 2008

[4] Danno e Resp., 2008

[5] Corriere Giur., 2008