i: In tema di responsabilità dell’ente ospedaliero per violazione dell’obbligo di informare il paziente sulla natura dell’intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell’art. 32, comma secondo, Cost., (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dell’art. 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dell’art. 33, legge 23 dicembre 1978, n. 833 (che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarla e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.). L’obbligo d’informazione grava sul sanitario che, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, ne decide l’esecuzione in piena autonomia, a nulla rilevando che la richiesta del paziente discenda da prescrizione di altro medico specialista[1];
ii: L’obbligo di informare grava sullo specialista che effettua la prestazione; non viene in rilievo, infatti, la circostanza che il trattamento sia stato richiesto dal paziente, in seguito alla prescrizione di un altro sanitario, in quanto il medico che esegue il trattamento decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta[2];
iii: Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunci da parte dell’assicuratore per la responsabilità civile che il giudice di merito abbia violato la norma dell’art. 1917, primo comma, cod. civ. per avere ritenuto sussumibile una fattispecie di responsabilità civile dell’assicurato sotto la vigenza della polizza pur trattandosi di fatto non accaduto durante il tempo dell’assicurazione, allorquando tale fatto sia rappresentato da una condotta umana causativa del danno ed essa sia stata posta in essere anteriormente alla vigenza della polizza e le conseguenze dannose si siano verificate tuttavia dopo di essa, qualora il contenuto della clausola determinativa dell’oggetto della copertura assicurativa non sia riprodotto o commentato dalla sentenza e, quindi, le relative argomentazioni non siano esse stesse oggetto dell’enunciazione del motivo, deve – per essere rispettoso del principio di autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione, applicabile anche all’enunciazione del vizio di violazione di legge – articolarsi necessariamente con la riproduzione del contenuto della clausola, in quanto, in difetto la Corte di Cassazione non risulta messa in grado di apprezzare il denunciato errore di sussunzione, atteso che la nozione di “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”, per la equivocità del termine “fatto”, idoneo a comprendere, se riferito ad un fatto umano, sia la condotta sia gli eventi che essa abbia provocato, si presta di per sé a comprendere sia l’una che gli altri e, quindi, spetta alle parti del contratto assicurativo opportunamente precisarla in modo che non abbia quella estensione. (Rigetta, App. Genova, 12 Marzo 2002)[3];
iv: La differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. si coglie, infatti, nel senso che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei fatti cosiddetti principali della controversia. (Rigetta, App. Genova, 12 Marzo 2002)[4];
v: Qualora il convenuto chiami un terzo in giudizio indicandolo come soggetto responsabile della pretesa fatta valere dall’attore e chieda, senza rigettare la propria legittimazione passiva, soltanto di essere manlevato delle conseguenze della soccombenza nei confronti dell’attore, il quale a sua volta non estenda la domanda verso il terzo, il cumulo di cause integra un litisconsorzio facoltativo ed ove la decisione di primo grado abbia rigettato la domanda di manleva in sede di impugnazione dà luogo ad una situazione di scindibilità delle cause. Ne consegue che, ove il giudice di secondo grado ravvisi la nullità della citazione con cui il terzo – rimasto contumace in primo grado – è stato chiamato in giudizio, legittimamente rimette, previa separazione, soltanto la causa di garanzia a quel giudice ed in relazione a tale statuizione il cumulo resta scindibile anche nella successiva fase del ricorso per cassazione, di modo che spetta alla parte convenuta che aveva chiamato in causa il terzo e che ritenga illegittimamente disposta la separazione e la rimessione della causa di garanzia, dolersi di tale statuizione notificando il ricorso per cassazione al terzo e prospettando apposito motivo di ricorso sul punto, mentre deve escludersi che la relativa questione possa essere prospettata come motivo del ricorso proposto soltanto nei confronti delle altre parti, trovando applicazione l’art. 332 cod. proc. civ. (con la conseguenza che se all’atto della trattazione l’impugnazione contro o da parte del terzo è già esclusa non dev’essere disposta la notifica al terzo del ricorso) e non l’art. 331 cod. proc. civ. (Rigetta, App. Genova, 12 Marzo 2002[5]);
vi: La responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza del trattamento stesso, e, quindi, in forza di nesso di causalità con essa, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, rilevando la correttezza dell’esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso, cioè riconducibile, ancorché nel quadro dell’unitario “rapporto” in forza del quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatasi nello svolgimento dell’attività di esecuzione del trattamento[6].
[1] Resp. civ. on line, 2006
[2] Resp. civ., 2006
[3] Mass. Giur. It., 2006; Guida al Diritto, 2006; CED Cassazione, 2006
[4] Mass. Giur. It., 2006; Guida al Diritto, 2006; CED Cassazione, 2006
[5] Mass. Giur. It., 2006; CED Cassazione, 2006
[6] Corriere Giur., 2006; Guida al Diritto, 2006; Ragiusan, 2007