E’ manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 cost., la q.l.c. dell’ art. 2052 c.c., nella parte in cui, così come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, esclude dall’ambito della sua applicazione la responsabilità dello Stato per i danni causati dalla fauna selvatica, in quanto l’irragionevolezza e la disparità di trattamento lamentata non sussiste, poichè la disposizione impugnata è applicabile solo in presenza di danni provocati da animali domestici, mentre per quelli cagionati da animali selvatici si applica invece l’art. 2043 c.c.: infatti, nel caso in cui il danno è arrecato da un animale domestico (o in cattività), è naturale conseguenza che il soggetto nella cui sfera giuridica rientra la disponibilità e la custodia di questo si faccia carico dei pregiudizi subiti da terzi secondo il criterio di imputazione ex art. 2052 c.c., laddove i danni prodotti dalla fauna selvatica, e quindi da animali che soddisfano il godimento dell’intera collettività, costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile ex art. 2043 c.c.; nè la norma impugnata crea disparità di trattamento tra gli agricoltori (i quali nel caso di danni alla produzione agricola causati dalla fauna selvatica possono beneficiare dell’indennizzo erogato da un fondo regionale costituito “ad hoc”) e tutti gli altri soggetti danneggiati, non essendo irrazionale una disciplina che, in considerazione della sua specificità, preveda una maggiore tutela per l’attività agricola[1].
[1] Giur. Costit., 2001; Corriere Giur., 2001; Foro It., 2001