Libro IV (Delle obbligazioni), Titolo III (Dei singoli contratti), Capo XX (Dell’assicurazione), Sezione II (Dell’assicurazione contro i danni), in particolare:
Art. 1908 (Valore della cosa assicurata) “Nell’accertare il danno non si può attribuire alle cose perite o danneggiate un valore superiore a quello che avevano al tempo del sinistro. Il valore delle cose assicurate può essere tuttavia stabilito al tempo della conclusione del contratto, mediante stima accettata per iscritto dalle parti. Non equivale a stima la dichiarazione di valore delle cose assicurate contenuta nella polizza o in altri documenti. Nell’assicurazione dei prodotti del suolo il danno si determina in relazione al valore che i prodotti avrebbero avuto al tempo della maturazione o al tempo in cui ordinariamente si raccolgono”.
Gli articoli 1908 e 1909 c.c. tendono al fine di evitare che l’assicurato si trovi nella condizione di avere interesse alla verificazione del sinistro.
In particolare l’art. 1908 c.c., prevedendo al 1° comma che il valore dell’indennizzo non possa eccedere il valore effettivo del danno al momento dell’evento lesivo, costituisce inveramento del principio indennitario. Di regola, si terrà presente il c.d. valore d’uso, determinato sottraendo dal valore della cosa in commercio il deprezzamento subito per l’uso fino al tempo del sinistro[1]. Se, invece, si tratta di cosa determinata alla vendita, potrà aversi riguardo al valore di scambio, od anche al prezzo di acquisto od al costo, se l’assicurato sia, rispettivamente, il commerciante od il produttore[2]. Nell’assicurazione contro i danni, il debito dell’assicuratore è di valore e non di valuta, assolvendo funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato, e ciò anche nell’ipotesi in cui il quantum dell’indennizzo risulti convenzionalmente convenuto ed altresì qualora la esigibilità della prestazione indennitaria sia sottoposta a condizione, per il periodo di pendenza della medesima. Pertanto, esso è suscettibile di adeguamento alla svalutazione intervenuta tra il momento del danno e quello della liquidazione, anche se ciò provochi il superamento del massimale di polizza[3].
Ex art. art. 2967[4], l’onere di provare il valore del bene assicurato e l’entità del danno grava sul soggetto assicurato. Tale previsione trova deroga in presenza di stima convenzionale (2° co.) od in presenza di dichiarazione di valore del bene (3° co.). A differenza della stima, però, la dichiarazione di valore non equivale ad accordo tra le parti in ordine al valore della cosa, ma costituisce a tutti gli effetti una dichiarazione di scienza[5]. Dall’accettazione della stima consegue solo un’inversione dell’onere della prova in capo all’assicuratore, che dovrà dimostrare il minor valore del bene; e ciò in applicazione dall’inderogabile principio indennitario il quale, come visto, impone che la liquidazione del danno non sia mai superiore al valore effettivo della perdita[6].
Con riguardo all’accertamento del danno successivo all’evento è anche frequente la c.d. perizia contrattuale, con la quale le parti demandano ad un terzo di compiere un apprezzamento tecnico che esse si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volontà contrattuale e che rende improponibile l’eventuale domanda giudiziale rivolta allo stesso fine.
[1] SALANDRA
[2] Codice Civile commentato a cura di G. Bonilini, M. Confortini, C. Granelli
[3] Codice Civile commentato a cura di G. Bonilini, M. Confortini, C. Granelli
[4] Art. 2697 (Onere della prova) “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
[5] PARTESOTTI
[6] CASTELLANO, SCARLATELLA