Libro IV (Delle obbligazioni), Titolo IX (Dei fatti illeciti), in particolare:
Art. 2050 (Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose) “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.
La disposizione di cui all’art. 2050 c.c. riguarda tutte quelle attività che sono destinate a provocare danni con un grado di probabilità molto alto, ma che sono considerate lecite a causa della loro utilità sociale[1].
Il legislatore nell’ammettere l’esercizio di tali attività, ha, tuttavia, reso particolarmente gravoso il regime di responsabilità per l’esercente. L’alternativa, infatti, era: vietare l’esercizio di tali attività oppure ammetterle, ma a condizione che i danneggiati potessero più agevolmente essere risarciti, esponendo così l’esercente l’attività pericolosa ad un rischio maggiore[2].
Si distingue tra attività pericolose tipiche (ad esempio quelle elencate, nelle leggi di prevenzione degli infortuni e di tutela della pubblica incolumità); ed attività pericolose atipiche, organizzate nell’ambito di un’impresa, o compiute isolatamente, che sono da considerarsi tali, se la loro pericolosità viene accertata mediante un’indagine condotta caso per caso[3]. Si distingue, anche, tra pericolosità della condotta e pericolosità dell’attività in sé considerata[4]. Nel primo caso vi è una attività normalmente innocua che assume i caratteri della pericolosità per la condotta imprudente, imperita o negligente di colui che la esercita; nel secondo caso l’attività è essa stessa potenzialmente dannosa per l’alta percentuale di sinistri che può causare per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati[5].
Per valutare la pericolosità di una attività è possibile far riferimento a due criteri concorrenti: 1) quantità di danni abitualmente cagionati dall’attività in questione; 2) gravità ed entità dei danni minacciati[6].
La prova liberatoria prevista dall’art. 2050 (di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno – c.d. prova positiva) esula completamente dalla dimostrazione di una mancanza di colpa (c.d. prova negativa); si ritiene, pertanto, la natura oggettiva di tale responsabilità. In capo al danneggiato sussiste però l’obbligo di dimostrare nesso di causalità tra il danno e l’attività pericolosa (così la giurisprudenza l’ha esclusa, ad esempio, ove sia ignota o incerta la causa dell’evento dannoso).
[1] Codice Civile commentato a cura di G. Bonilini, M. Confortini, C. Granelli
[2] FRANZONI, 156
[3] FRANZONI, 496
[4] COMPORTI, 291; GENTILE, Responsabilità per esercizio di attività pericolose, in RCP, 1950, 97
[5] FRANZONI, 492
[6] MONATERI, 1019