In caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l’area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, né nella perdita di “chance” di guarigione, ma include la perdita di un “ventaglio” di opzioni con le quali scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita, che determina la lesione di un bene reale, certo – sul piano sostanziale – ed effettivo, apprezzabile con immediatezza, qual è il diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali; in tale prospettiva, il diritto di autodeterminarsi riceve positivo riconoscimento e protezione non solo mediante il ricorso a trattamenti lenitivi degli effetti di patologie non più reversibili, ovvero, all’opposto, mediante la predeterminazione di un percorso che porti a contenerne la durata, ma anche attraverso la mera accettazione della propria condizione. (Nel ribadire il principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito la quale aveva rigettato la domanda risarcitoria, fatta valere “iure hereditatis”, esclusivamente sulla base dell’assenza di prova che la ritardata diagnosi del carcinoma avesse compromesso “chances” di guarigione della paziente o, quantomeno, di maggiore e migliore sopravvivenza, ignorando che l’accertato negligente ritardo diagnostico aveva determinato la lesione del diritto della stessa di autodeterminarsi). (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO LECCE, 02/02/2016)[1].
[1] CED Cassazione, 2019; Giur. It., 2020 nota di FOGLIA