Cass. Cost., Sez. III, Sent., (data ud. 08/06/2006) 06/07/2006, n. 15383

i: La responsabilità ex art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia, anche nell’ipotesi di beni demaniali in effettiva custodia della p.a., ha carattere oggettivo e, perché tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata), ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiante. (Cassa con rinvio, Trib. Ancona, 13 Giugno 2002)[1];

ii: La presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 cod. civ., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile – all’esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto – esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta delle stesso da parte di terzi, sotto tale profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell’impossibilità della custodia. Alla stregua di tale principio, con particolare riguardo al demanio stradale, la ricorrenza della custodia dev’essere esaminata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti. Ne deriva che, alla stregua di tale criterio, mentre in relazione alle autostrade (di cui già all’art. 2 del d.P.R. n. 393 del 1959, ed ora all’art. 2 del d.lgs. n. 285 del 1992), attesa la loro natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, si deve concludere per la configurabilità del rapporto custodiale, in relazione alle strade riconducibili al demanio comunale non è possibile una simile, generalizzata, conclusione, in quanto l’applicazione dei detti criteri non la consente, ma comporta valutazioni ulteriormente specifiche. In quest’ottica, per le strade comunali – salvo il vaglio in concreto del giudice di merito – circostanza eventualmente sintomatica della possibilità della custodia è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato il danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune. (Cassa con rinvio, Trib. Ancona, 13 Giugno 2002)[2];

iii: In tema di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e quindi insiste il cantiere, risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. (in concreto non escludibile a carico dell’ente per le dimensioni necessariamente ridotte dell’area adibita a cantiere) sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilità solidale di cui al secondo comma dell’art. 2055 cod. civ., sulla base anche degli obblighi di segnalazione e manutenzione imposti dalla legge per opere e depositi stradali (art. 21 del d.lgs. n. 285 del 1992), nonché di quelli eventualmente discendenti dalla convenzione di appalto. (Cassa con rinvio, Trib. Ancona, 13 Giugno 2002)[3];

iv: In relazione ai danni verificatisi nell’uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della P.A. ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., l’esistenza di un comportamento colposo dell’utente danneggiato (sussistente anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità della P.A., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (e, quindi, della P.A.) in proporzione all’incidenza causale del comportamento stesso. (Cassa con rinvio, Trib. Ancona, 13 Giugno 2002)[4];

v: In tema di responsabilità per danni da beni demaniali, qualora non sia applicabile la disciplina dell’art. 2051 cod. civ., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia sul bene demaniale, l’ente pubblico risponde dei danni subiti dall’utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 cod. civ., che non prevede alcuna limitazione della responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto. In tal caso graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene demaniale (come, ad esempio, della strada), che va considerata fatto di per sé idoneo – in linea di principio – a configurare il comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade conseguentemente l’onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia. (Cassa con rinvio, Trib. Ancona, 13 Giugno 2002)[5].


[1] Mass. Giur. It., 2006; Danno e Resp., 2006; CED Cassazione, 2006; Resp. civ., 2007 nota di TOSCHI VESPASIANI; Corriere Giur., 2007 nota di MOROZZO DELLA ROCCA; Giur. Bollettino legisl. tecnica, 2007

[2] Mass. Giur. It., 2006; CED Cassazione, 2006; Arch. Giur. Circolaz., 2007; Corriere Giur., 2007

[3] Mass. Giur. It., 2006; Bollettino legisl. tecnica, 2006; CED Cassazione, 2006; Arch. Giur. Circolaz., 2007

[4] Mass. Giur. It., 2006; Danno e Resp., 2006; CED Cassazione, 2006; Resp. civ., 2007 nota di TOSCHI VESPASIANI; Corriere Giur., 2007 nota di MOROZZO DELLA ROCCA; Giur. Bollettino legisl. tecnica, 2007

[5] Mass. Giur. It., 2006; Danno e Resp., 2006; CED Cassazione, 2006; Resp. civ., 2007 nota di TOSCHI VESPASIANI; Arch. Giur. Circolaz., 2007; Corriere Giur., 2007 nota di MOROZZO DELLA ROCCA; Giur. Bollettino legisl. tecnica, 2007