In materia di infortunistica stradale
i: I danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabili nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che – sia in relazione ai precetti normativi (artt. 143, 433 cod. civ.), sia per la pratica di vita improntata a regole-etico sociali di solidarietà e di costume – il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l’aspetto del lucro cessante, ed il relativo risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge; la prova del danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno. Ne consegue che, nel calcolo dei danni patrimoniali futuri risarcibili, non rileva che il coniuge diventi titolare di pensione di reversibilità, fondandosi tale attribuzione su un titolo diverso dall’atto illecito e non potendo essa ricomprendersi tra quei contributi patrimoniali o quelle utilità economiche che il coniuge defunto avrebbe presumibilmente apportato (Cassa con rinvio, App. Trento, 4 Giugno 2002)[1];
ii: Qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche se adottata in sede di rinvio), è dovuto al danneggiato anche il risarcimento riconducibile al mancato guadagno che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice anche ricorrendo a criteri presuntivi ed equitativi (quale l’attribuzione degli interessi ad un tasso stabilito), previa valutazione di tutte le circostanze obiettive e soggettive attinenti al caso specifico; in quest’ultima ipotesi, gli interessi non possono essere computati, a far data dalla verificazione dell’illecito, sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riguardo ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) in ordine ai quali l’importo equivalente del bene perduto si incrementa nominalmente, sulla scorta dei prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio. (Cassa con rinvio, App. Trento, 4 Giugno 2002)[2].
[1] Mass. Giur. It., 2006; CED Cassazione, 2006; Arch. Giur. Circolaz., 2007
[2] Mass. Giur. It., 2006; CED Cassazione, 2006; Arch. Giur. Circolaz., 2007