Cass. Civ., Sez. III, Ord., (data ud. 18/05/2018) 19/07/2018, n. 19199

i: In materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – che, in applicazione del criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., grava sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sul presupposto che non solo gli attori non avevano allegato il presunto dissenso del congiunto, ma dalle risultanze istruttorie erano emersi elementi, come l’assenza di soluzioni terapeutiche alternative e il fatto che in precedenza il paziente si era sottoposto ad interventi analoghi, che deponevano per la presunzione di consenso al trattamento sanitario). (Rigetta, CORTE D’APPELLO MILANO, 26/10/2016)[1];

ii: “Fermo il principio ormai consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001)”;

iii: “In tal modo il Giudice territoriale si è conformato al principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui “in tema di responsabilità professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute” (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 7237 del 30/03/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 20984 del 27/11/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 2998 del 16/02/2016; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 24074 del 13/10/2017; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2369 de/ 31/01/2018)”;

iv: “Ed è appena il caso inoltre di osservare come -in contrario a quanto ipotizzato dalla ricorrente- se, per un verso, l’onere della prova del nesso eziologico non può che gravare sul danneggiato, in quanto elemento costitutivo della pretesa al risarcimento del danno (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9085 del 19/04/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 17306 del 31/07/2006; id. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/01/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 17143 del 09/10/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 21177 del 20/10/2015; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 29315 del 07/12/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018), rimanendo a carico del danneggiato la prova dell’esistenza del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie), nonchè del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando invece a cario del professionista sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile; per altro verso tale soluzione, avuto riguardo all’oggetto della prova che si risolve nella prognosi postuma dalla scelta che il paziente in base ad elementi circostanziali inequivoci (che vanno ad investire la storia, non soltanto clinica ma anche sociale, familiare e più ancora la sensibilità culturale e psicologica del paziente) avrebbe adottato se fosse stato compiutamente informato, non può che riversarsi, avuto riguardo al principio cd. della “vicinanza della prova”, a carico dello stesso soggetto interessato o dei parenti più prossimi i quali in ogni caso (tanto in caso di sopravvivenza che di decesso del paziente) appaiono certamente le fonti più idonee e dirette per riferire in ordine ai fatti rilevanti da cui inferire la scelta che avrebbe compiuto il congiunto”;

v: “Del tutto errata e fraintesa è la lettura effettuata dalla ricorrente della proposizione, estrapolata dall’intero contesto motivazionale, tratta dal precedente di questa Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 577 del 11/01/2008 secondo cui nell’ambito dei rapporti contrattuali, il soggetto che agisce per il risarcimento del danno è tenuto ad allegare inadempimento “qualificato” tale cioè da essere compatibile -quale fatto generatore- con l’evento cui si ricollega il danno-conseguenza di cui la parte contraente chiede il ristoro, mentre spetta al debitore “dimostrare che tale inadempimento non vi è proprio stato, ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno “. Osserva il Collegio che le Sezioni Unite non hanno inteso -come invece pare ritenere la ricorrente- operare una inversione di indirizzo in tema di riparto dell’onere della prova, secondo l’ordinario criterio desunto dall’art. 2697 c.c., che pone a carico di colui che agisce in giudizio l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa e quindi, nel caso di specie, anche 1′ “eventum damni” e la sua relazione di derivazione causale dalla specifica condotta di inadempimento: in tal sensi depone la successiva giurisprudenza di legittimità che richiamandosi all’arresto delle Sezioni Unite ha continuato senza incertezze ad attribuire il relativo onere probatorio alla parte danneggiata. La proposizione della motivazione della sentenza n. 576/2008 richiamata dalla ricorrente, deve -infatti- intendersi nel senso che, una volta che attore abbia dimostrato (art. 2697 c.c., comma 1) i fatti che costituiscono il fondamento del diritto al risarcimento dei danni (prova del titolo -allegazione dell’inadempimento – prova dell'”eventum damni” – prova logica della non incompatibilità della derivazione dell'”eventum damni” dal fatto di inadempimento allegato – prova della esistenza “an” e della dimensione “quantum” delle conseguenze pregiudizievoli riconducibili alla predetta sequenza causale), grava sul debitore l’onere della prova dei fatti contrari o di fatti diversi che comportino la estinzione o la modifica del diritto fatto valere in giudizio (art. 2697 c.c., comma 2), tra cui eventuali fatti generatori dell’ “eventum damni” esterni alla condotta inadempiente e che rivestono autonoma ed assorbente efficienza causale, in quanto non riconducibili alla sfera di controllo del debitore e da quello non originati, ed tali anzi da rendere impossibile “in relazione al titolo dell’obbligazione od alla natura dell’oggetto” (art. 1256 c.c.) la realizzazione del risultato negoziale programmato avuto riguardo al limite massimo dello sforzo esigibile dal debitore: in sostanza il debitore per liberarsi dalla responsabilità contrattuale per il danno derivato dall’inadempimento, deve fornire la prova del “fatto che ha causato la impossibilità” del corretto adempimento della obbligazione (art. 1259 c.c.), così da escluderne qualsiasi incidenza causale nella determinazione dell’ “eventum damni” (cfr., da ultimo Corte Cass. id. Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 29315 del 07/12/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018)”.


[1] CED Cassazione, 2018