i: In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del ginecologo all’obbligazione di natura contrattuale gravante su di lui, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sul fatto della procreazione, non rilevando, in contrario, che sia consentito solo alla madre (e non al padre) la scelta in ordine all’interruzione della gravidanza, atteso che, pur sottratta alla madre (e non al padre) la scelta in ordine all’interruzione della gravidanza, agli effetti negativi del comportamento del medico non può ritenersi estraneo il padre, che deve perciò considerarsi tra i soggetti “protetti” dal contratto col medico e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti[1];
ii: In caso di responsabilità medica per omessa diagnosi di malformazione del feto, la legittimazione al risarcimento spetta anche al padre del bambino, in quanto la mancata interruzione della gravidanza, determinata dall’inadempimento colpevole del sanitario, è causa di danno non solo per la madre ma anche per il padre[2];
iii: Unica possibile forma di liquidazione di ogni danno privo – come il danno biologico e quello morale – delle caratteristiche della patrimonialità è quella equitativa, essendo il ricorso a tale criterio insito nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico. E’, dunque, da escludere che si possa far carico al giudice di indicare le ragioni per le quali il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare (costituente la condizione per il ricorso alla valutazione equitativa di cui all’art.1226 cod. civ.), giacchè intanto una precisa quantificazione pecuniaria è possibile, in quanto esistano dei parametri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non può essere mai provato nel suo preciso ammontare. Tuttavia, rimane fermo il dovere del giudice del merito di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto al risultato finale della liquidazione, in ordine al quale deve egli considerare tutte le circostanze del caso concreto e, specificamente, quali elementi di riferimento pertinenti, l’attività espletata, le condizioni sociali e familiari del danneggiato, la gravità delle lesioni e degli eventuali postumi permanenti[3].
[1] Mass. Giur. It., 2005; CED Cassazione, 2005; Danno e Resp., 2006
[2] Resp. civ., 2006; Famiglia e Diritto, 2006
[3] Mass. Giur. It., 2005; CED Cassazione, 2005