Cass. Civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 22/09/2015) 22/12/2015, n. 25767

i: In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo, giacché l’ordinamento non conosce il “diritto a non nascere se non sano”, né la vita del bambino può integrare un danno-conseguenza dell’illecito omissivo del medico. (Cassa con rinvio, App. Firenze, 15/05/2008)[1];

ii: In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite “praesumptio hominis”, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale. (Cassa con rinvio, App. Firenze, 15/05/2008)[2];

iii: Tenuto conto del naturale relativismo dei concetti giuridici, alla tutela del nascituro si può pervenire, in conformità con un indirizzo dottrinario, senza postularne la soggettività – che è una tecnica di imputazione di diritti ed obblighi – bensì considerandolo oggetto di tutela. In altri termini, «si può essere destinatari di tutela anche senza essere soggetti dotati di capacità giuridica ai sensi dell’art. 1 c.c.»[3];

iv: In tema di risarcimento del danno per omessa informazione, da parte del medico, sulle circostanze che legittimano l’interruzione volontaria della gravidanza ex art. 6, L. n. 194/1978, l’onere di dimostrare la sussistenza di tali circostanze spetta alla parte attrice e può essere assolto tramite presunzioni semplici fondate non soltanto su correlazioni statisticamente ricorrenti, ma anche su circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche, emergenti dai dati istruttori raccolti (nel caso di specie, la Corte ha annullato la sentenza d’appello che aveva omesso di prendere in considerazione la possibilità di una prova presuntiva del fatto che la madre, qualora debitamente informata, avrebbe richiesto l’interruzione della gravidanza)[4].


[1] CED Cassazione, 2015; Corriere Giur., 2016 nota di BILO’; Famiglia e Diritto, 2016; Danno e Resp., 2016 nota di CACACE

[2] CED Cassazione, 2015; Corriere Giur., 2016 nota di BILO’; Famiglia e Diritto, 2016; Danno e Resp., 2016 nota di CACACE

[3] Sito Il caso.it, 2016

[4] Giur. It., 2016