OBBLIGAZIONI DI MEZZI E OBBLIGAZIONI DI RISULTATO

Le obbligazioni di risultato si caratterizzano per la necessità, da parte del debitore (ad es. il medico), di conseguire un determinato risultato; il mancato conseguimento di quel risultato determinerà, pertanto, l’insoddisfazione del creditore (ad es. il paziente). Le obbligazioni di mezzi, invece, non impongono al debitore il conseguimento di un fine determinato. In caso di attività medica, pertanto, il professionista mette a disposizione solo le proprie competenze intellettuali; sarà sufficiente, affinché non si verifichi l’inadempimento dell’obbligazione, che il comportamento (nel rispetto delle regole di condotta sancite dalle leges artis del caso) del debitore medesimo sia diligentemente orientato al conseguimento di quel risultato. Logicamente, la responsabilità del debitore sarà più rigida in caso di obbligazioni di risultato e viceversa più mite in caso di obbligazioni di mezzi.

La giurisprudenza più risalente sottraeva le prestazioni professionali, in particolar modo quelle mediche, dal regime di cui all’art. 1218 c.c., riconducendole invece alla norma di cui all’art. 1176 c.c. Conseguentemente gravava sul creditore la prova dell’inadempimento, mentre il debitore era esonerato dalla prova dell’impossibilità sopravvenuta non imputabile (gli bastava fornire la prova del rispetto della leges artis). Fino alle Sez. Un. n. 13533/2001 il debitore di mezzi era sostanzialmente trattato come un danneggiante aquiliano; era il creditore a dover dimostrare, oltre al danno e al rapporto di causalità, anche l’inesatto adempimento (e, quindi, la negligenza) del debitore[1]; con l’ulteriore aggravio che se l’operazione del medico non fosse stata qualificata di routine, egli doveva necessariamente provare il dolo o la colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c.[2]

A partire dalle suddette Sez. Un. n. 13533/2001 la giurisprudenza ha iniziato a superare la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. Questa ha infatti affermato che in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione (qualsiasi essa sia), il creditore deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte (e ciò anche se lamenta un adempimento inesatto), mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto esatto adempimento (c.d. principio della vicinanza della prova – deroga al primo comma dell’art. 2697 “Onere della prova” c.c., a mente del quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” –  secondo cui l’onere è addossato alla parte che ha la maggiore possibilità di produrla in giudizio).

Successivamente Cass. civ., Sez. Unite, Sent., n. 15781/2005 ha definitivamente superato la distinzione mezzi/risultato affermando che l’art. 2236 c.c. (in tema di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia per i vizi dell’opera) sia inapplicabile alla prestazione d’opera intellettuale,  dovendosi escludere che il criterio risolutivo ai fini dell’applicabilità delle predette disposizioni alle prestazioni in questione possa essere costituito dalla distinzione – priva di incidenza sul regime di responsabilità del professionista – fra le cosiddette obbligazioni di mezzi e le cosiddette obbligazioni di risultato. Pertanto la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato non avrà alcuna incidenza sul regime di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale né sul meccanismo di ripartizione dell’onere della prova; e ciò in quanto in ogni obbligazione assumono rilievo sia il risultato pratico da raggiungere, quanto l’impegno richiesto al debitore per raggiungere quel determinato risultato.

Le suddette conclusioni sono state confermate, questa volta in materia di responsabilità medica, da  Cass. civ., Sez. Unite, Sent., n. 577/2008. La stessa ha sensibilmente alleggerito l’onere della prova del creditore; infatti è stato enunciato che “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”. Una diversa regola probatoria non potrebbe essere introdotta in base alla superata distinzione tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi. “Tale distinzione, infatti, non è immune da profili problematici, specialmente se applicata proprio alle ipotesi di prestazione d’opera intellettuale, in considerazione della struttura stessa del rapporto obbligatorio e tenendo conto, altresì, che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni”.

Dall’evoluzione giurisprudenziale appena evidenziata non consegue, tuttavia, che tutte le obbligazioni, seppur di risultato, abbiano lo stesso contenuto. Consegue solo che il risultato dell’obbligazione non è sempre lo stesso. In particolare nelle “ex” obbligazioni di mezzi il risultato dell’obbligazione stessa sarà solo quell’attività del debitore capace di promuovere l’attuazione dell’interesse primario del creditore (ad es. la guarigione). In tal caso si avrà pertanto una scissione tra l’interesse primario del creditore e il risultato dovuto dal debitore.

Successivamente alla suddetta Sez. Un. del 2008 sono intervenute su tema le Cass. civ., Sez. III n. 20904 del 2013 e n. 18392 del 2017 che, aderendo all’orientamento minoritario, hanno ritenuto di addossare al creditore l’onere della prova sul nesso di causalità. In particolare Cass. civ. n. 18392/2017 aveva proposto – pur asserendo formalmente di non discostarsi dai principi espressi da Sez. Un. 577/2008 – di addossare al paziente/creditore oltre all’inadempimento anche il nesso causale che lo lega ai danni subiti (quello che secondo detta Cass. sarebbe il c.d. primo nesso, cui conseguirebbe un primo onere della prova ex art. 1218 c.c.); mentre la struttura sanitaria/debitrice, solo successivamente e dunque eventualmente all’avvenuta dimostrazione del primo nesso da parte dell’attore, potrebbe dare la c.d. prova liberatoria dimostrando la propria diligenza e quindi la non imputabilità a sé della causa che ha reso impossibile la prestazione oggetto dell’obbligazione (c.d. secondo nesso, e secondo onere della prova ex art. 1218 c.c.).

Nel solco di tali ultime due sentenze la giurisprudenza del 2018, occupandosi sempre di casi di responsabilità medica, è intervenuta nuovamente sul tema mezzi/risultato, dando nuovo vigore alla distinzione in disamina ed affermando un nuovo riparto dell’onere della prova del nesso di causalità.

In particolare si è sostenuto che spetta a chi assume di essere stato danneggiato da un sanitario l’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del sanitario ed il danno; essendo a tal fine insufficiente l’allegazione da parte del creditore della condotta commissiva od omissiva del debitore che sia “potenzialmente” idonea a incidere sulla successiva evoluzione della malattia e ciò in quanto[3]l’avverbio “potenzialmente” non è affatto idoneo a indicare una effettiva e concreta relazione condizionante – in termini di preponderanza dell’evidenza (“più probabile che non”) – fra il ritardo diagnostico e il successivo decorso della malattia”. Ancora, “nel nostro ordinamento esistono molte norme che sollevano l’attore dall’onere di provare la colpa del convenuto, sia in materia di contratti (ad esempio, gli artt. 1218 o 1681 c.c.), sia in materia di fatti illeciti (ad esempio, gli artt. 2048 c.c. e segg.). Non esiste, invece, alcuna norma che sollevi l’attore dall’onere di provare il nesso di causa (rectius, i fatti materiali sui quali fondare il giudizio di causalità) tra l’inadempimento o il fatto illecito, ed il danno che si assume esserne derivato. E poiché il nesso di causa è fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno, la prova di esso grava su chi di quel danno invoca il ristoro”.

La III Sezione del 2018 nega che il “nuovo” principio contrasti con Sez. Un. n. 577/2008. In particolare secondo questo orientamento, occorrerebbe distinguere tra c.d. causalità costitutiva (ovvero il rapporto tra inadempimento e danno) il cui onere della prova graverebbe sul creditore; e c.d. causalità estintiva (ovvero la causa che ha determinato l’impossibilità sopravvenuta della prestazione ex artt. 1218 e 1256 c.c.) il cui onere della prova, invece, graverebbe sul debitore in base a Sez. Un. n. 577/2008[4].

L’orientamento in esame ritiene pertanto che il nodo della c.d. causa ignota (quando non è possibile ricostruire con esattezza la relazione di causa-effetto che lega il danno patito alla condotta del debitore/danneggiante, ovvero il nesso di causalità) venga sciolto addossandone il rischio al creditore, nel caso in cui essa riguardi la derivazione causale dell’evento dannoso, e al debitore ove essa, invece, attenga all’impossibilità della prestazione[5].

Tale impostazione è stata vivacemente criticata in dottrina evidenziando che in tal modo si riproponga in diverso modo la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato; portando, pertanto, a risultati diametralmente opposti rispetto a quelli fatti propri dall’orientamento maggioritario di cui alle Sez. Un. 577/2008 (sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite).

Si noti infine che, con riguardo al medico dipendente ed a seguito della riforma Gelli-Bianco, l’onere della prova dovrebbe dirsi esclusivamente a carico del paziente, atteso che la condotta del medico costituisce un fatto illecito ex art. 2043 c.c. e perciò la causa ignota non può che andare a beneficio del professionista sanitario[6].


[1] R. Giovagnoli – Manuale Diritto Civile 2019

[2] R. Giovagnoli – APPROFONDIMENTI DI DIRITTO CIVILE 2019

[3] R. Giovagnoli Manuale Diritto Civile 2019

[4] R. Giovagnoli Manuale Diritto Civile 2019

[5] R. Giovagnoli Manuale Diritto Civile 2019

[6] R. Giovagnoli – APPROFONDIMENTI DI DIRITTO CIVILE 2019


Cass. Civ., Sez. Unite, (data ud. 30/10/2001) 30/10/2001, n. 13533

Cass. Civ., Sez. Unite, (data ud. 23/06/2005) 28/07/2005, n. 15781

Cass. Civ., Sez. Unite, (data ud. 20/11/2007) 11/01/2008, n. 577

Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 16/06/2011) 21/07/2011, n. 15993

Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 13/11/2013) 12/12/2013, n. 27855

Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 11/07/2013) 12/09/2013, n. 20904

Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 11/06/2014) 30/09/2014, n. 20547

Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 05/07/2017) 26/07/2017, n. 18392

Cass. Civ., Sez. III, Ord., (data ud. 05/12/2017) 15/02/2018, n. 3693

Cass. Civ., Sez. III, Ord., (data ud. 14/02/2018) 31/05/2018, n. 13752

Cass. Civ., Sez. III, Ord., (data ud. 20/02/2018) 31/05/2018, n. 13766

Cass. Civ., Sez. III, Ord., (data ud. 18/05/2018) 19/07/2018, n. 19199

Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 03/04/2018) 13/07/2018, n. 18549