RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE ED EXTRACONTRATTUALE

Il passaggio dalla Legge Balduzzi (L. n. 189/2012), di conversione del decreto legge 158/2012 recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” alla Legge Gelli Bianco n. 24 del 2017 recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, ha particolarmente segnato – più che il regime di responsabilità contrattuale tra struttura sanitaria e paziente – il rapporto che viene a instaurarsi tra medico curante e paziente.

Prima dell’entrata in vigore della Legge n. 24/2017 si riteneva, per consolidata giurisprudenza sviluppatasi a partire dalla storica Cass. civ., Sez. III, Sent. 589/1999 (in materia di responsabilità del medico dipendente della struttura sanitaria), che in virtù del c.d. contatto sociale – ovvero un rapporto socialmente tipico tra la parti che, nonostante l’assenza di un contratto (fonte atipica di obbligazione), è in grado di ingenerare l’affidamento dei soggetti sull’adempimento di obblighi diretti e specifici di lealtà, collaborazione e di salvaguardia dell’altrui sfera giuridica – qualificava come contrattuale la responsabilità facente capo al medico, a prescindere dalla sussistenza di un formale rapporto di dipendenza dall’ente ospedaliero.

Elementi “tipici” del contatto sociale sono: (i) un soggetto titolare di uno status qualificato, che deriva dall’esercizio di una professione “protetta” o di rilievo pubblicistico (medico); (ii) in vista di un determinato scopo, autorizzato da chi lo subisce o comunque consentito dall’ordinamento, il contatto determina l’ingresso dell’altrui sfera giuridica; (iii) il contatto determina, in capo a chi subisce l’ingerenza, l’affidamento circa l’altrui correttezza[1].

Dal punto sub iii deriva altresì che il mancato adempimento degli obblighi di buona fede, protezione ed informazione, avrebbe pertanto comportato l’insorgenza in capo all’obbligato di una responsabilità assoggettata alla disciplina di cui agli artt. 1218 ss. c.c., con conseguente applicazione delle previsioni in punto di riparto dell’onere della prova, grado della colpa e prescrizione, tipici delle obbligazioni da contratto d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 c.c.

Con riguardo all’onere della prova, il paziente-danneggiato doveva limitarsi a provare l’esistenza del contratto (ovvero il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare, quale causa o concausa efficiente, il danno lamentato, essendo invece rimesso al medico e all’ente sanitario – che, come si dirà, risponde contrattualmente dei fatti dolosi o colposi dei propri ausiliari ai sensi dell’art. 1228 c.c. –, l’onere di dimostrare il difetto di colpa nel caso ordinario di cui all’art. 1176 c.c. – ossia la prova che la prestazione professionale fosse stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi denunciati siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile –, la non qualificazione della stessa in termini di gravità nel caso di cui all’art. 2236 c.c. – che richiede una diligenza osservata nel massimo grado e, comunque, appropriata alla specificità delle regole tecniche della professione –, o che l’inadempimento, pur sussistente, non fosse stato eziologicamente rilevante[2].

Invariato resta invece il regime dell’onere della prova in merito al nesso di causalità, che continua ad incombere sul paziente che agisce per il risarcimento del danno con riguardo al collegamento tra l’evento di danno (aggravamento della patologia preesistente ovvero insorgenza di una nuova patologia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, non potendosi predicare, rispetto a tale elemento della fattispecie, il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore, in virtù del quale, invece, incombe su quest’ultimo l’onere della prova contraria solo relativamente alla colpa ex art. 1218 c.c. (Cass. civ., Sez. III, Sent. n. 20812/2018).

L’art. 3, co. 1, della Legge Balduzzi così recitava: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del Codice civile”. Tuttavia la giurisprudenza non attribuì alcuna rilevanza a tale disposizione, ritenendo che la stessa non fosse idonea ad esprimere “alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l’irrilevanza della colpa lieve” (Cass. civ., Sez. VI, Ord. n. 8940/2014).

Se il diritto vivente, a partire dal 1999, aveva identificato nella responsabilità dell’esercente la professione sanitaria uno dei campi di elezione della responsabilità da contatto sociale; l’avvento della Legge Gelli-Bianco ha invece definitivamente collocato la responsabilità del medico nel perimetro della responsabilità extracontrattuale – salva l’ipotesi residuale della obbligazione contrattualmente assunta –, introducendo per l’esercente la professione sanitaria un regime di responsabilità meno gravoso.

Infatti l’art. 7, co. 3, della Legge n. 24 del 2017, così recita: “L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 del Codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 5 della presente legge e dell’art. 590-sexies del Codice penale, introdotto dall’art. 6 della presente legge

Tornando all’onere della prova notiamo una sostanziale inversione dello stesso post riforma, infatti adesso il paziente per ottenere il risarcimento del danno non potrà più limitarsi alla semplice allegazione dell’inadempimento, seppur qualificato, ma dovrà invece offrire la prova rigorosa di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 c.c. (il danno, il nesso causale tra condotta e danno, nonché l’elemento soggettivo della colpa professionale) entro il più breve termine di prescrizione di cinque anni[3].

Come già accennato, nel passaggio dalla Legge Balduzzi alla Legge Gelli Bianco, alcuna modifica ha subito la responsabilità verso il paziente della struttura sanitaria – sia essa pubblica o privata -, qualificata come contrattuale.

Rilevanti e tuttora attuali le considerazioni svolte da Cass. civ., Sez. III, Sent. n. 13953/2007 “Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218[4] cod. civ., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228[5] cod. civ., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto[6].

L’orientamento giurisprudenziale sopra evidenziata è rimasto costante anche successivamente alla Legge Balduzzi del 2012; e anche con l’art. 7, co. 1, L. n. 24/2017, che così ha disposto: “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti dalla struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del Codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”.

Il suddetto comma 1° della medesima diposizione, riaffermando la natura contrattuale della responsabilità ascrivibile alla struttura sanitaria ex artt. 1218 e 1228 c.c., ha pertanto confermato un modello ispirato alla logica del c.d. doppio binario di responsabilità (extracontrattuale del medico verso il paziente; e contrattuale della struttura sanitaria verso il paziente). A conferma della differenziazione che precede notiamo anche che le Aziende sanitarie, ai sensi del D. lgs 502/1992, devono garantire i c.d. “livelli essenziali e uniformi di assistenza” ed a tal fine sono dotate di personalità giuridica pubblica, autonomia imprenditoriale e patrimoniale. L’opera professionale prestata dal medico all’interno della struttura sanitaria, invece, costituisce l’adempimento della prestazione lavorativa cui contrattualmente è obbligato. La diversificazione della posizione risarcitoria del medico da quella della struttura sanitaria sortisce quindi come effetto – anche in considerazione delle significative differenze di disponibilità economiche – quello di trasferire gran parte del rischio sulla struttura sanitaria, sia perché legata al paziente da un vero e proprio rapporto negoziale, sia in forza della propria posizione di gestore dell’attività in forma di impresa con assunzione del potere/dovere di governo del rischio clinico, in aderenza al brocardo ubi commoda, ibi incommoda[7].


[1] R. Giovagnoli – Manuale Diritto Civile 2019

[2]La nuova responsabilità in ambito sanitario”, Nicolino Gentile, BLB Studio Legale, Alessandro D’Achille, Yvonne Suma.

[3] “La nuova responsabilità in ambito sanitario”, Nicolino Gentile, BLB Studio Legale, Alessandro D’Achille, Yvonne Suma.

[4] Art. 1218 c.c. (Responsabilità del debitore) “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

[5] Art. 1228 c.c. (Responsabilità per fatto degli ausiliari) “Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”.

[6] CED, Cassazione, 2007; Il Sole 24 Ore,   Guida al Diritto, 2009, 31, pg. 65, annotata da S. Castro

[7] “La nuova responsabilità in ambito sanitario”, Nicolino Gentile, BLB Studio Legale, Alessandro D’Achille, Yvonne Suma.


Cass. Civ., Sez. III, (data ud. 22/10/1999) 22/10/1999, n. 589

Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 07/02/2007) 14/06/2007, n. 13953

Cass. Civ., Sez. VI-3, Ord., (data ud. 15/04/2014) 17/04/2014, n. 8940

Cass. Civ., Sez. III, Ord., (data ud. 03/07/2018) 20/08/2018, n. 20812

Cass. Civ., Sez. III, Sent., (data ud. 24/02/2020) 08/07/2020, n. 14258

Cass. Civ., Sez. VI-3, Ord., (data ud. 06/11/2020) 26/07/2021, n. 21404